2.10.2025
Un capitolo rivoluzionario nell’alpinismo estremo: il polacco Andrzej Bargiel firma la prima discesa integrale dell’Everest con gli sci, senza uso di ossigeno. Un’impresa che ridefinisce il limite dell’umano sulle montagne più alte.
L’Everest, la regina incontrastata degli Ottomila, aggiunge un nuovo capitolo alla sua leggenda. Andrzej Bargiel, scialpinista e alpinista polacco già noto per le sue imprese sul K2, ha compiuto ciò che nessuno prima aveva mai osato concludere: la discesa integrale sugli sci dal vertice dell’Everest (8.848 m) fino al campo base, senza ricorrere all’ossigeno supplementare. Un atto che, per coraggio e abilità tecnica, riscrive la storia dello sci alpinismo estremo.
L’impresa, realizzata il 22 e 23 settembre 2025, si inserisce nel solco delle grandi conquiste dell’alpinismo himalayano. Bargiel, accompagnato in vetta da Dawa Sherpa, ha atteso solo pochi minuti una volta raggiunta la cima, prima di calzare gli sci e lanciarsi lungo la via nepalese classica che attraversa il Colle Sud e la celebre Icefall del Khumbu. L’ascesa, già resa ardua dal gran quantitativo di neve, ha costretto l’atleta a trascorrere circa 16 ore nella death zone sopra gli 8.000 metri: un ambiente dove il rischio di edema polmonare e cerebrale, perdita di lucidità e crollo fisico sono compagni di viaggio costanti.
La discesa, suddivisa in due tappe, si è interrotta una notte al Campo II – 6.400 metri, per poi riprendere all’alba. «Non abbiamo usato corde fisse né attrezzature già predisposte. Il supporto del drone pilotato da mio fratello Bartek è stato essenziale per individuare la linea più sicura», ha dichiarato Bargiel dopo il rientro al campo base. L’attenzione al dettaglio logistico e il monitoraggio costante sono stati cruciali in una sfida che non concede errori.
La tradizione delle grandi discese con gli sci dagli Ottomila vede pionieri come Yuichiro Miura che nel 1970 realizzò una discesa parziale dall’Everest, e Davo Karnicar che nel 2000 completò la prima dall’Everest con ossigeno. Ma fino ad oggi, nessuno aveva mai percorso integralmente la vetta principale senza ausili, una distinzione spesso sottile ma fondamentale tra il “voler esserci” e il “ridefinire il possibile”.
Il valore simbolico della prestazione va oltre il gesto sportivo. Come sottolinea il noto alpinista italiano Cala Cimenti, «sono imprese che ci interrogano sul bilancio rischio-beneficio, eppure sono quelle che portano avanti il confine dell’umano in montagna». La cultura dello sci estremo trova qui uno spartiacque e alimenta il dibattito sull’etica dell’alta quota: quanto è lecito spingersi oltre per superare record e limiti personali?
L’impresa di Bargiel rafforza anche l’impatto mediatico e turistico delle grandi montagne. L’Everest, oltre a essere mito per l’alpinismo, è diventato un simbolo per l’intero Nepal, richiamando centinaia di spedizioni ogni stagione e generando un indotto economico e culturale decisivo per le popolazioni locali. Le nuove tecnologie – dai materiali ultraleggeri ai droni da supporto – stanno modificando velocemente la disciplina, rendendo possibili gesti che fino a pochi anni fa sembravano fantascienza.
Le implicazioni di questa notizia non riguardano solo il record tecnico, ma l’intera dimensione della verticalità moderna. Lo sci alpinismo estremo si conferma territorio di esplorazione estrema. «Qui non si tratta soltanto di numeri, ma di spirito di scoperta», ricordava Reinhold Messner, e la storia di Bargiel sembra dargli ragione.