4.10.2025
Balin Miller, giovane e audace talento dell’alpinismo mondiale, ha perso la vita a soli 23 anni durante una discesa in corda doppia su El Capitan, nella Yosemite Valley. Considerato una delle stelle più luminose e un esempio di coraggio sulle vie più estreme, Miller lascia un segno indelebile nella storia dell’arrampicata.
Il mondo dell’arrampicata è in lutto per la tragica scomparsa di Balin Miller, alpinista di 23 anni che, negli ultimi anni, aveva fatto parlare di sé per le sue imprese solitarie sui massicci più difficili del pianeta. Nato e cresciuto ad Anchorage, in Alaska, Miller aveva iniziato a muovere i primi passi sulla roccia lungo la Seward Highway, per poi affermarsi rapidamente come uno degli arrampicatori più audaci e rispettati della sua generazione.
Il 1° ottobre, Miller stava concludendo la sua personale avventura sulla celebre Sea of Dreams (grado francese stimato 6b A4), una delle vie di artificiale più temute di El Capitan, nel cuore dello Yosemite National Park. Secondo le ricostruzioni, dopo aver completato l’ultimo tiro, un problema con il recupero del suo haul bag lo avrebbe costretto a scendere nuovamente. È stato proprio durante questa manovra complessa di calata che Balin è precipitato nel vuoto, a causa della discesa oltre la fine della corda. Il tragico incidente, avvenuto a quasi 730 metri d’altezza e ripreso in diretta da una livestream su TikTok, ha scosso profondamente la comunità alpinistica internazionale.
Sea of Dreams non è semplicemente una via di arrampicata: con i suoi tratti verticali e sezioni di difficoltà mista, rappresenta una sfida sia tecnica che psicologica, simbolo della tradizione dell’artificiale estremo americana. Balin Miller si era distinto per aver affrontato, spesso in solitaria, alcune delle linee più iconiche e pericolose del globo. Tra i suoi successi più eclatanti si annoverano la seconda salita in solitaria di Reality Bath (WI6, VIII; circa 6c francese misto ghiaccio/roccia) nelle Montagne Rocciose Canadesi, la prima solitaria della North Buttress del Mount Hunter tramite la French Connection, e, soprattutto, la prima solitaria della Slovak Direct su Denali: una salita di quasi 2.700 metri (M6 WI6 A2, equivalente circa a 6b+/6c francese misto e ghiaccio), che gli è valsa elogi da leggende dell’alpinismo come Colin Haley e Mark Twight. “Super badass”, ha commentato Haley. Twight, sentito della sua impresa, ha semplicemente risposto: “Holy shit.”
Miller non era solo uno scalatore, ma anche un personaggio emblematico, che ha saputo unire la propria determinazione a uno stile personale: sulle sue guance, prima di ogni grande impresa, non mancava mai una striscia di glitter, a suo dire un rito propiziatorio e una forma di auto-ironica celebrazione del rischio.
Fuoriclasse poliedrico, Balin alternava stagioni sulle vette più gelide a lavori da pescatore di granchi in Alaska o spalatore di neve in Montana. Il fratello Dylan e la sorella minore Mia, insieme alla madre Jeanine, ne ricordano la genuinità e la grande capacità di ispirare amici e compagni d’avventura.
L’incidente pone ancora una volta l’accento sull’importanza della sicurezza nella pratica dell’arrampicata, in particolare nelle manovre di calata su vie lunghe ed esposte come quelle di El Capitan. “Rappel off the end of the rope” è una delle cause più frequenti di incidenti gravi o mortali tra i climber esperti: la necessità di effettuare sempre il nodo alle estremità della corda, di controllare le condizioni del materiale e di pianificare ogni dettaglio delle manovre resta una lezione dolorosa e fondamentale per l’intera comunità.
Balin Miller ci lascia in eredità un esempio di passione pura per la montagna, spirito d’esplorazione e rispetto per la tradizione, ma anche la consapevolezza che, in questo sport, la linea tra grandezza e tragedia è sottile. Il futuro dell’arrampicata, segnato da innovazione tecnica e crescente attenzione alla sicurezza, dovrà sempre ricordare figure come Balin, capaci di superare i limiti non solo delle difficoltà oggettive, ma anche dell’immaginazione.